31 maggio 2004

(100 oggetti e 1 film per rappresentare il mondo)




Poco tempo fa, molto poco tempo fa, cercavo di decifrare la mia scrittura di qualche anno fa, molti anni fa. Una montagna di carta che poi ho buttato, prima di leggere per l'ultima volta, piangere e ridere per l'ultima volta di quando parlavo di me usando ogni volta un nome a caso, che non era mai il mio, nè mai lo stesso.
Peter Greenaway potrebbe avere avuto problemi simili, ma invece di portare tutto alla raccolta della carta dell'Hera, ci ha fatto un film. The Tulse Luper's Suitcases. Che ci abbia messo una vita intera, che non abbia potuto farne a meno di pensarci ogni giorno almeno sette(numerandole) volte, non implica il fatto che il risultato finale abbia un ordine.
La cronologia dell'accumulo è resa fedele, riportata in cameo sulla pellicola in forma di archivio, ufficio, sgabuzzino, in cui si trova rinchiuso il sosia del protagonista, che è il sosia di Joseph Smith o dell'angelo Moroni.
E' un altro documentario sulla raccolta, o la raccolta delle raccolte. Dentro ci sono catalogati i fratelli siamesi Oliver e Oswald che raccolgono fotografie progressive di animali in decomposizione (a Zed and two Noughts, Greenaway 1990), c'è un Luper di un ventennio fa che misura la percentuale di artificialità nel paesaggio ambientale odierno, catalogandone il grado di perfetta verticalità visibile (Vertical Features Remake, Greenaway 1978), che sono pochi fra i rimandi autocitazionistici. L'impilamento sembra crollare in ogni momento, ma non finisce mai per essere letale a sè stesso; anestetizza le emozioni, ugualmente ipnotizzando, come spesso riesce a fare ogni tipo di sapere enciclopedico. A proposito uno di questi può essere la Storia, non solo quella di Moab, di Luper, dei Mormoni ma tutta quella del ventesimo secolo presa tutta insieme come cambiamento, simboleggiato dall'Uranio, novantaduesimo elemento come novantadue solo le valige di Tulse, e come l'età che lui stesso avrebbe nell'anno di uscita del film. Quando le valige finiscono nella testa la pellicola prosegue silenziosamente. La valigia numero 93 contiene gli errori, i rimproveri, le sciocchezze e le esagerazioni, le banalità, i rimpianti e le noie che una volta o l'altra qualcuno o qualcun'altro nota in tutti gli altri film ma che questa volta rischiano di mettere in discussione il metodo di critica al primo secolo del cinema, e al cinema stesso.
Il secondo rischio è anche un consiglio, ossia quello far sì che ci sia almeno una seconda visione, nonostante il secondo episodio inizi e continui per tre quarti d'ora con le quasi stesse scene del primo. Come dice Greenaway, i film dovrebbero essere tutti di almeno sei ore, e questa volta come non mai il tempo è indispensabile, come quello che serve per abituare gli occhi al buio. Se serve un esempio, ho in mente le lacrime che ho trannenuto fino almeno alla metà del film, l'angoscia per un possibile declino della produzione di uno dei miei registi preferiti, l'arresa all'inevitabile dopo due giorni, e tutto quello che poi è diventata la soddisfazione di quando si è finito di vedere qualcosa da non cambiare in nessun modo, da non toccare per non nuocere all'equilibrio funambolico su cui si regge da solo.
(polvere nei pollai IX edizione)

Allora io è un po' di tempo che dovrei prendere, per dire le cose, le parole degli altri. Per esempio mi è piaciuto molto il tendone del circo, sebbene mi abbia lentamente ucciso il pavimento su cui poggiava, ho temuto per la mia vita come mi succede poche volte e ho saltato il fine serata.
All'inizio mi sono piaciute, però, due cose in particolare, che sono la strada per arrivare al noto platz, senza nulla intorno, e la cosa migliore che sono gli animali strani che erano insieme alle galline nel pollaio. A me piacciono molto quegli animali lì, penso questo abbia compromesso molto del mio giudizio sullo straparlato evento.
Uno di questi, mentre io respiravo per un attimo lontano dalla nebbia è corso con un fascio di carta e di conti fra le ali per mostrarmi a quanti alberi e a quanta colla corrispondono i volantini elettorali che mi intasano la casella di posta non-elettronica.
Non è il momento gli ho detto, sono qui "per un altro motivo". Ahah, fa lui starnazza e muove le zampe, lo so benissimo che non fai altro che pensarci!
Non è vero!, faccio, senti cosa pensavo, che questa cosa degli strumenti giocattolo sarà una reazione e queste cose del genere, finalmente qualcosa che mi piace, mi fa pensare al futuro con più fiducia perchè il lo-fi è per i pigri annoiati e insomma anche noi abbiamo un futuro, mi diverto, vedì? mi diverto, tu no?
Ma nel frattempo è tornato fra le galline e la discriminazione, passando per gli alberi delle pere e l'altra metà del posto, e lì insultato e calpestato dagli under 11.
Per una volta, forse non una, ma insomma questa volta ho ritenuto bello giusto e divertente che sul palco potesse andarci chi non ha un disco, chi non è capace e chi proprio non c'entra. Che chi vive lì forse non lo capisce, come l'animale strano, non capisce come a me faccia piacere stare a casa sua a riposarmi e a pensare che proprio non devo lamentarmi quando dopo le disgrazie, nel giro di quattro giorni trovo casa, lavoro e mi rubano la bicicletta, era troppo tempo che non mi succedeva.

25 maggio 2004

("Idioti diavoli danesi". Ovvero come guardare un horror alla settimana, ridendo e rabbrividendo, mangiando zucchine fritte e dormire comunque bene la notte)

Forse ancora qualcuno non se ne è accorto. Una delle nuove ghezzi-serie del lunedì è The Kingdom II, di sicuro qualcosa che fa ritornare nel cuore l'amore per gli esseri umani.
Decretato dalle statistiche mio più frequente motivo di cieco entusiasmo, Lars ha continuato l'opera sotto i sensi di colpa per aver reso ansiolitici i più accaniti fan del Regno.
L'ospedale orgoglio della Danimarca continua ad autofagocitarsi con tutti i custodi, i primari e i pazienti (la parte più sana del tutto, assieme ai lavapiatti) ad attorcigliarsi in sè stesso in modo da diventare lui stesso mostruoso. Lo spaventoso non viene dai lattanti deformi e affetti da gigantismo, dalle morti emorragiche per opera di demoni o dai medici talmente ossessionati dai tumori tanto da rendere il proprio corpo vivaio per fare crescere un sarcoma epatico. Il terrificante, e si può intuire da subito, è che ogni fatto risponde ad una logica precisa tanto quanto ogni avvenimento è una conseguenza diretta. C'è tutto l'ordine inevitabile che di solito non vedo dall'altra parte dello schermo. La coerenza che comprende le ossessioni nella realtà mascherate e nascoste, fatte crescere sotto terra in modo da far sì che siano fastidi solo per chi vivrà a secoli di distanza, è tutta resa esplicita e l'umorismo viscerale nasce da questo.
Di solito ridiamo come pazzi a vedere simulazioni di una realtà in cui la logica aritmetica non ha eccezioni nemmeno nella pratica.
Potrebbe sembrare amore per l'effetto ancora non sbiadito dello straniamento in arte quello che invece è una reazione infastidita quanto basta ad un fatto che, seppur non di routine, è del tutto possibile e comprensibile se si considerano le premesse.

24 maggio 2004

have

(should never have left the crystal lake for areas where trees are fake)

Ci sono tanti parchi in cui prendere il sole con i palmi delle mani appoggiati sull'erba e la testa all'indietro. Tanti posti che si può scegliere il posto dove definitivamente passare le ore a togliere e mettere gli occhiali da sole ogni ventiquattro venticique sedici secondi. E' possibile portarsi anche le cuffie insonorizzate come oggetto moderno a scelta, con dentro qualcosa di rapido e che si intoni alle margherite, ai maratoneti e agli asili di cemento. Ad una certa ora escono gli abitanti degli asili e delle scuole elementari di cemento che stanno dentro ai parchi, in fila sparsa tenendosi per mano. Ad una certa ora cominciano ad essere le 8:27 a.m. ed è ora di alzare la testa con un po' di fatica e mettersi all'ombra.
Da quel punto si può ritornare in strada, fino a che un certo punto non si vedono più le farfalle cavolaie e le cicale ma piuttosto i ciclisti con la maschera a gas. Se si è fortunati e attenti si potrà notare fra un acero e un pioppo il dolce suono del lava-asfalto. Con le sue caratteristiche penne arancioni l'Atc zampetta leggero alla ricerca delle briciole delle colazioni sui davanzali delle case. Attraverso quelle stesse finestre, passeggiando, si possono osservare i loculi abitativi delle madri dei bambini di cemento che sospirando contano i giorni sul loro calendario con le foto satellitari più suggestive dell'effetto serra. I giorni, dicevamo, che mancano alla fine della scuola, quando sarà ora di prendere le ferie e andare in piscina con le stesse cuffie insonorizzate che diffonderanno il disco degli Air con la copertina che più si intona al flacone della crema solare fattore protezione totale.

20 maggio 2004

(sull'afa)

Ci sono solo poche cose, che durante l'inverno possono ricordarmi l'attesa ansiosa per la fine dell'estate.
E ora che le cose sono cambiate, e noi che non ci siamo stranamente ancora abituati alle notizie sul maltempo in prima pagina, continuiamo ad affrettarci per strada spiegando agli altri come stia cambiando l'organizzazione del nostro armadio invernale.
Personalmente, percorro i viali per cercare una casa nuova, con Hard Normal Daddy e la precisa sensazione che questa volta ci sarà tanto da aspettare. Forse non si avrà il tempo nemmeno di andare in spiaggia nelle ore del giorno in cui la sabbia non appiccica ai piedi e quando nei bar non c'è più gente in mutande. Non so nemmeno se questa volta ci sarà qualcosa da aspettare. Potrebbe proprio non esserci, siamo a metà del decennio.
Hard Normal Daddy, e How I Long To Feel That Summer In My Heart che ha molto a che fare con la pressione bassa e il Polase, sono due delle cose.

15 maggio 2004

(elegia digitali)

Sotto l'effetto prolungato della caffeina mi accorgo che passerò la notte davanti al videoregistratore. [Io il dvd non ce l'ho e anche questa come altre cose contribuisce a riempire uno schemino dell'incoerenza, come spesso mi fanno notare. Infatti il mio totale rapimento per le nuove tecnologie e i design più minimali possibili fa a botte e fa male con il feticismo morboso per le mie vhs grandi come la bibbia]. Allora una cernita rapidissima precede la preparazione di una bottiglia di latte di riso alla mandorla con la menta e la visione in un solo respiro di Arca russa, che pur essendo così giovane risente già del tempo. Non si può non pensare a silenziare il cellulare, chiudere la porta, sigillare i doppi vetri. Non si può non pensare che ad ogni interruzione tutto da capo. Non si può non pensare: merito del digitale! Non posso non ricordare quando cercavo l'ultimo fotogramma di ogni bobina di nodo alla gola. Questa è un'altra elegia, penso facendo le bolle nel latte verde, e penso che Sokurov si mantenga uguale anche nei tentativi più estremi di aspettare il progresso andandogli incontro con dei salti mortali.
(cento pagine mille lire sui buchi neri)

C'è tanta confusione che lo vedo ovunque. Ogni volta che scelgo una rivista sullo scaffale, prima ancora di sedermi, mi accorgo che c'è qualcuno che discorre tranquillo sull'autoreferenzialità. Quando ancora era inverno ho cominciato a segnarmi tutto; gli articoli, le allusioni, le fotografie. I nomi dei professori i cui giorni mi chiedevo come passassero oltre che a parlare di se stessi e, alla fine, i film autocitazionisti; quelli che mi venivano in mente. Effetto notte, attenzione alla puttana santa, il disprezzo, otto e mezzo. Poi hollywood ending e quella cosa di Quentin che vi piace molto. Ho detto che prima o poi avrei messo insieme tutte quelle cose e avrei tirato fuori il ragno dal buco, ma non ci è voluto molto perchè capissi che non c'è verso. Ho tralasciato i reality show, di cui vergognosamente non so nulla, e almeno tre quarti del resto della televisione.
Mi sembra che non ci sia verso in quanto non so cosa si debba cercare. Una patologia, trasformazioni evolutive inevitabili, distruzione dall'interno? Va bene così o non va bene così? Non posso basarmi sul mio fastidio, che fra l'altro mi accorgo sempre di più non essere rappresentativo.
Aspetto una serendipity, come dicono gli ingegneri quando per caso si trovano in provetta un embrione di cavallo sintetico.

11 maggio 2004

(promessa)

Un problema è che da quando ho letto nineteen eightyfour (veniva inevitabilmente dopo la trilogia dei robot e l'avrei preso comunque, anche se fosse stato l'annuario della mia nascita), mi è venuta un po' di fretta nello scrivere le cose. In realtà  una fretta terribile, di provare anche ogni supporto finchè non ne avessi trovato uno ignifugo.
Questo magari è un modo per spiegare l'esorbitante quantitè  di carta nonchè bits usati in parole scombinate sull'incomprensibile successo di kill bill, sull'improbabile sanità  mentale di chi guarda la tv senza apparentemente risentire dell'autoreferenzialità  selvaggia, del fatto che compro i quotidiani pur sapendo che riesco a leggere solo il meteo (meglio se colorato) e la piccola cronaca. Ho un foglio su cui cerco di spiegarmi perchè da un mese a questa parte ho una predilezione per i libri con le figure, l'altro che svolazza per la stanza cerca di dimostrare la tesi che se non riesco a finire un ragionamento senza farmi ogni volta una risata è perchè sto vivendo in un momento di trasformazione di quello che non ho mai vissuto in quello che non vivrò mai. AHAHAHAH.
Fatto sta che tutto ha un po' il sapore di una premessa, come ben si nota. E soprattutto per ricordarmelo spero che voi ne prendiate nota, e far sì in qualche modo che questa sia l'ultima volta. Assomiglia terribilmente all'ultima sigaretta. Ho cambiato un po' di cose, tanto che ho per forza dovuto cambiare posto. Quello che è rimasto uguale è che questi aggeggi (blogger, che proprio oggi è rinnovato, in questo caso), continuano ad avere un retrogusto di terapia inconclusa, costosa, ma necessaria quanto un lettore dvd che legge anche i divx, oggi.

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