31 gennaio 2005

L'artefiera non e' sicuro una delle migliori scelte da fare quando si ha bisogno di uscire gradualmente da un periodo di isolamento e intolleranza. Ma l'ho fatta perche' mi allettava la passeggiata sotto il sole nelle strade deserte domenicali, il respirare metri cubi d'aria diversi di quelli degli ultimi dieci giorni. La primavera ormai osa farsi vedere solo sottoforma di strategiche finte in pacchetti da dieci ore, e voglio pensare che sia completamente inconsapevole della sua crudelta'. Comunque; il biglietto era giallo, gratis ed ho girato per i quattro padiglioni con una logica che ora, guardando per la prima volta la criptica mappa, non riesco a comprendere, ma che di sicuro non era quella dell'istinto. Non lo sapevo, ma avevo gia' l'influenza ed era per quello che mi girava la testa davanti a certe improbabili gallerie, non per una specie di sindrome di Stendhal fuori luogo. A dire il vero proprio all'inizio, notando la quantita' (che riesce sempre a dare una speranza in piu') e una fotografia di Struth di un angolo di bosco, una di quelle che si chiamano Paradise, ero di buon umore e riuscivo a vedere le parallele che convergevano alla fine del capannone senza disperare.
L'altra oasi e' stata a meta' dell'appassionante (nel senso biblico) cammino ed era un muro pieno di disegni della venerata Royal Art Lodge, il collettivo di canadesi che potrebbe salvare il mondo (e la mia media, essendo l'argomento del mio prossimo esame). Li' davanti ci passo piu' volte e ci resto piu' tempo, come se inconsciamente volessi boicottare tutto il resto. Tutto il resto era costituito in sostanza da oggetti che, se almeno fossero stati dei ready made, si avrebbe almeno potuto usufruire della loro valenza originale, invece no. Di ready made ce n'erano pochi, e quei pochi cercavano di aspirare all'arte scrollandosi di dosso tutte le caratteristiche che alla loro fabbricazione li rendevano utili, e c'e' da soprendersi di come i loro fautori non si vergognassero terribilmente, giuro di non riuscire a capire.
Le tendenze in cui si poteva riassumere il tutto, per intenderci, si contanavano sulla mano di un pettirosso, e gli sforzi economici ed emotivi dei poveri artisti tutti versi alla disperata ricerca dell'originalita' erano tanto penosi che approfittavo delle mie lacrime da raffreddore per renderglielo noto.
Ma a loro importava poco, mentre mi asciugavo il naso con i loro volantini, perche' gente vestita in modo piuttosto strano che comprava le loro cose, e le pagava quanto si paga un' automobile nuova.

28 gennaio 2005

Ho come mmm l'impressione che eliminando indistintamente cose dalla mia vita questa riprenda tutto ad un tratto ad avere senso proprio un attimo prima che il mio tuffo nella religione finisca gorghi e spruzzi (amber was the evening when the whirpool pulled her in).
Nelle interminabili cerniere fra la veglia e il sonno, sogno un' occupazione primaria che stia fra le gestione di un negozio di libri usati disposti e catalogati come se fossero nuovi e la cura permanente dell'enorme giardino che sta attorno a una grossa scuola di musica in un paese nelle medie-alte latitudini.
Nella breve veglia leggo romanzi che raccontano di personaggi che sono riusciti a cavare meraviglie dalla loro depressione e immagino le trasposizioni in film girate rispettivamente da Haneke, Kubrick e Mikhalkov.
Nella fortuita fase r.e.m. produco sogni tanto realistici che vanno a finire nella memoria dei pensieri diurni con conseguenze seccanti, come quando il cibo prende la strada dei polmoni.
Si accettano piu' che volentieri consigli riguardo a dischi in cui la voce dell'autore e' accompagnata da un solo strumento, mentre vado a netmage.

09 gennaio 2005





Se fa freddo si e' anche piuttosto deperiti, le scarpe non muoiono dalla voglia di allacciarsi. Che l'asse terrestre esista e sbandi con un sospiro sommesso di Dio non mi sembra ne' plausibile ne' implausibile, ma se cosi' fosse basterebbe un altrettanto sommesso starnuto per sistemare il clima come a me pare.
Sistemare il modo e' una mania del futuro, e' anche una mania dei miei sogni e di chi per lavoro mette in scena. Se mai ci fosse un comune accordo, fra tutti i maniaci di questo tipo, sarebbe sul precetto fondamentale del semplificare e ristabilire le leggi portanti, piantando steccati e paletti un po' ovunque. Una lingua e basta, niente azoto, telepatia primordiale, spettro visibile ridotto al giallo e al blu, cosi'.
I miei onirici steccati invalicabili di solito riguardano il modo in cui le persone si parlano; tendenzialmente si capiscono bene tutti, ma solo se ce n'e' bisogno.
Ho segretamente elaborato alcune teorie per spiegare la devozione e la passione con cui ho guardato Closer, il film che ha messo nel panico i produttori del film su Ian Curtis in cerca di un titolo accattivante (ah e a chi invece e' maniaco dei collegamenti, Jude Law ho sentito dire, ma spero in uno scherzo o in un trucco molto pesante). Dicevo, questa e' la soluzione piu' elegante del problema. I personaggi del film che ho guardato senza sbattere gli occhi interagiscono come delle macchinette avanzate che funzionano alla perfezione in quanto creazioni di uno stesso preciso inventore. Ci sono poche altre cose che cambiano oltre alle parole, e in queste non e' compreso il motivo o il modo in cui vengono pronunciate. Quello che accomuna i personaggi e' la particolarissima abilita' (soprattutto da questo si puo' indendere che l'ambientazione e' fantascientifica, dal'assenza di un tentativo di giustificare o mascherare l'assurda coincidenza) di sapere esattamente e immediatamente cosa dire, o per meglio dire, il modo migliore per tradurre in parole il proprio pensiero. Nel fare questo accettano la triste condizione di chi sa riconoscere gran parte degli effetti immediatamente conseguenti le proprie parole e i propri comportamenti. La storia, per questo, ne esce accellerata, bruciando gli enormi tempi diluiti soliti di certi sentimenti che passano apparentemente senza che nulla succeda, ma in realta' consumando il tempo a temere l'enormita' del caso e aspettando ansiosamente una risoluzione nel tempo.
Che poi la situazione alla fine non si risolva non toglie nulla a tutto questo, semplicemente ponendo degli zeri finisce per risultare piu' nuda ed evidente che mai la subdola incapacita' umana ad essere felici della propria condizione.

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