07 dicembre 2006

sui recenti bandi al neorealismo spirituale



Mozart scrisse anche per arpa di vetro. Quando ascoltai la prima volta l' adagio per arpa di vetro mi turbò molto l' uso di questo suono. Non feci in tempo a pensare se trovavo piacevole o meno il suono in se ma di sicuro era strano e il mio fastidio nasceva da un senso di anacronismo.
Quando Benjamin Franklin la inventò, nel 1761, aveva appena appena visto suonare i bicchieri di vino. Così come i bicchieri riempiti a varie altezze, ogni piatto dell'arpa di vetro vibra ad un'unica frequenza, producendo un suono che non si può descrivere certo limpido, ma vacuo e siderale, simultaneamente lontano e interno, come un mal di denti, o come un fastidio all'orecchio che sembra, da principio, provenire dagli apparecchi elettronici che vi sono nella stanza.
La glass harmonica si presentò per cui come la perfetta riproduzione dei cori angelici e il suono delle sfere, un assaggio di candore eterno su una scala limitata e una verità essenziale. La nuova descrizione dell'environment paradisiaco spalancava occhi e bocche degli astanti, sostituendo d'un colpo la luminosità dell'organo a canne, gli altissimi soffitti e le cornici dorate, con onde sonore buie e glaciali.
A me pare anche di averne sentita una apparire su Eskimo, ma mi hanno suggerito di non continuare su questa strada.
I più restii a cadere in trance non sfuggivano al profondo sconforto indotto dal suono vitreo, su tutti l' esecutore, non potendo evitare di concludere ogni performance con il cuore oppresso e le mani dolenti.
Alla fine del secolo un tacito editto, senza tacite proteste, bandì lo strumento, ormai celebre come mesto agente alienante. Quasi contemporaneamente si formò un sottosuolo di sperimentazioni ipertoniche, un silenzioso movimento celebrativo della multistratificazione e delle tonalità ridondanti, una silenziosa moratoria in nome della quantità e dell' aggiunta.

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