Marc Recha "Dies d'Agost" (Pardo subito)
Dopo cinque giorni di festival questa è la mia personale vittoria. E' mia anche nel senso che la ritengo una ricompensa per la diligenza con la quale mi sono sottoposta per almeno sei ore al giorni a spari in testa a persone già morte, ottantenni coraggiosi, cassiera che non tira avanti, amicizie fra emarginati di differenti categorie, ribellione di femmina offesa, atleti drogati ingiustamente.
Sebbene l' efficiente catalogo puntualizzi che il film "combina documentario, finzione e improvvisazione degli attori", non è nulla di tutto ciò. Ossia, si può ben vedere, che l' oggetto della necessità di raccontare è illustrato nell' unica maniera possibile, e quindi nell' unica maniera efficace per isolare un certo sentimento volubile; che si posa su una moltitudine di avvenimenti e di luoghi pur continuando ad essere preciso ed inequivocabile perchè appartiene ad un solo individuo. L' individuo è interpretato dal regista, del quale porta il nome, ma non è lui. Il sentimento è la memoria della guerra civile spagnola, una sconosciuta regione della spagna meridionale, un giornalista morto senza dir abbastanza di sè, un viaggio catartico che non funziona, laghi, scogli, fortuiti incontri con impersonificazioni del cambiamento della storia e del paesaggio.
Il protagonista ha come compagno di viaggio un fratello gemello che fisicamente non gli somiglia, ma con il quale condivide tutto il resto. Anche questo ha il nome del suo interprete, il fratello del regista, ma anche questo non è lui.
Si può comprendere il fatto che sia arduo parlare di sè, e pensare che qui lo si sia fatto con la giusta delicatezza, ma il caso non è precisamente questo. La differenza dal "mettersi al centro del discorso" è che qui ci si pone invece in basso, rinchiudendosi nel recinto di quello che si reputa legittimo da raccontare, ossia quello che si è vissuto, e in questo ambito avvicinarsi all' invenzione con precisione millimetrica, tutto quello che basta e non avanza alla prospettiva cinematografica. Niente autobiografia e niente retorica, una voce narrante come Jules e Jim, onniscente (una sorella dei fratelli), dolce (sensibile al fascino della cosa che non capisce ma che pensa la riguardi in qualche modo), letteraria (legge ciò che qualcuno ha scritto perchè lei non c'era, oppure qualcosa che lei ha trascritto, e che forse qualcun' altro già aveva trascritto). Questo direttore che ha voluto guardare tutti i film e parla cinque lingue ogni mezzo minuto aveva detto che stavamo per vedere un magnifico landscape movie. E' vero, durante la somministrazione della pellicola il desiderio di correre e tuffarsi nel Lago Maggiore era incontrollabile, ma perchè voler ignorare a tutti costi il meraviglioso residuo, ciò che per portare alla luce si è scavato intorno e cioè tutto ciò di cui non si parla?
Sebbene l' efficiente catalogo puntualizzi che il film "combina documentario, finzione e improvvisazione degli attori", non è nulla di tutto ciò. Ossia, si può ben vedere, che l' oggetto della necessità di raccontare è illustrato nell' unica maniera possibile, e quindi nell' unica maniera efficace per isolare un certo sentimento volubile; che si posa su una moltitudine di avvenimenti e di luoghi pur continuando ad essere preciso ed inequivocabile perchè appartiene ad un solo individuo. L' individuo è interpretato dal regista, del quale porta il nome, ma non è lui. Il sentimento è la memoria della guerra civile spagnola, una sconosciuta regione della spagna meridionale, un giornalista morto senza dir abbastanza di sè, un viaggio catartico che non funziona, laghi, scogli, fortuiti incontri con impersonificazioni del cambiamento della storia e del paesaggio.
Il protagonista ha come compagno di viaggio un fratello gemello che fisicamente non gli somiglia, ma con il quale condivide tutto il resto. Anche questo ha il nome del suo interprete, il fratello del regista, ma anche questo non è lui.
Si può comprendere il fatto che sia arduo parlare di sè, e pensare che qui lo si sia fatto con la giusta delicatezza, ma il caso non è precisamente questo. La differenza dal "mettersi al centro del discorso" è che qui ci si pone invece in basso, rinchiudendosi nel recinto di quello che si reputa legittimo da raccontare, ossia quello che si è vissuto, e in questo ambito avvicinarsi all' invenzione con precisione millimetrica, tutto quello che basta e non avanza alla prospettiva cinematografica. Niente autobiografia e niente retorica, una voce narrante come Jules e Jim, onniscente (una sorella dei fratelli), dolce (sensibile al fascino della cosa che non capisce ma che pensa la riguardi in qualche modo), letteraria (legge ciò che qualcuno ha scritto perchè lei non c'era, oppure qualcosa che lei ha trascritto, e che forse qualcun' altro già aveva trascritto). Questo direttore che ha voluto guardare tutti i film e parla cinque lingue ogni mezzo minuto aveva detto che stavamo per vedere un magnifico landscape movie. E' vero, durante la somministrazione della pellicola il desiderio di correre e tuffarsi nel Lago Maggiore era incontrollabile, ma perchè voler ignorare a tutti costi il meraviglioso residuo, ciò che per portare alla luce si è scavato intorno e cioè tutto ciò di cui non si parla?
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